I 6 miti che non permettono di creare organizzazioni aperte ed evolutive

Le aziende abituate al cambiamento continuo sono organizzazioni che favoriscono l’instaurarsi di un ambiente che permette di neutralizzare l’ansia che si genera e che può bloccare l’apprendimento necessario per portare avanti il “nuovo”. Cambiare la routine richiede mentalmente di modificare la mentalità finora utilizzata, di adottare altri schemi mentali, ossia imparare a disimparare (la tazza di té e il disapprendere). Ma questo cambiamento può produrre, nelle persone che abitano l’organizzazione, ansia e bloccare o rallentare il processo evolutivo: l’ansia che genera la paura del nuovo (ed anche per questo noi svolgiamo survey sul cambiamento secondo il nostro modello FDEF, presente su questo blog), è un’ansia che si potrebbe definire dello “spazio vuoto”, del non conosciuto. In particolare, se stiamo portando avanti un cambiamento dobbiamo porci il problema di gestire l’ansia che si genera nelle persone: a maggior ragione se sappiamo di transitare in una situazione instabile, poco prevedibile per diverso tempo (non solo per ragioni interne, ma anche per un mercato instabile, un periodo di incertezza socio-economico come quello legato alla pandemia). Dobbiamo andare allora a gestire, come ci ha insegnato Edgar Schein, la turbolenza e l’imprevedibilità che generano un altro tipo di ansia, quella che lui definisce l’"ansia da sopravvivenza". Essa, se ben gestita, aiuta le persone a raggiungere il punto psicologico che non fa rinunciare all’apprendimento, in quanto necessario, a scapito della paura dell’ignoto.

Per svolgere azioni organizzative mirate che permettano di contenere ed incanalare l’ansia verso non l’adattamento o la paura dell’ignoto, ma verso la “trepidazione” per la sopravvivenza, dobbiamo, in primis, anteriormente al progettare atti organizzativi di intervento, provare a rispondere a questa domanda: come possiamo rendere l'apprendimento, che è necessario per il cambiamento evolutivo, un processo sicuro e desiderabile? 

I miti

I miti o convinzioni profonde radicate nelle organizzazioni possono smontare anche il più bel progetto di cambiamento o la strutturazione migliore per un’azienda votata all’innovazione perenne!

I presupposti profondi modellano la cultura organizzativa delle imprese e possono non facilitare l’apprendimento necessario al cambiamento evolutivo.

Proviamo ora a descrivere alcuni miti che riteniamo (ancora) diffusi in molte organizzazioni, partendo da questa grafica.

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Il leader deciso e dominante

Le nostre organizzazioni, sia quelle private sia quelle pubbliche, sono storicamente, nella stragrande maggioranza, nate avendo come modello implicito quello della gerarchia: e chi sta ad alto livello è automaticamente investito di un mito (si pensi a Fantozzi e al megadirettore galattico!) E chi nella scala gerarchica ha potere, adotta comportamenti dominanti, decisi e di controllo e il suo collaboratore, in questo gioco a schema rigido, si aspetta da lui certezza. Ma dove non c’è dubbio, ossia spazio mentale aperto ad altro, non c’è cambiamento, ossia indefinitezza.  

 

Il potere è "la capacità di non dover imparare nulla"

I capi dominanti promuovendo il messaggio della certezza, non si mettono in apprendimento, in quanto è come se riconoscessero di essere vulnerabili; per questo o boicottano il cambiamento (si veda il nostro post sulle aspettative nei progetti di cambiamento) o lo organizzano per gli altri, promuovendo, di fatto, una cultura del cambiamento – non cambiamento. Il potere quindi come “sono nato imparato!”

 Il diritto del manager alla competitività

Essere manager sembra comporti intrinsecamente delle peculiarità e degli obblighi a cui molti si adeguano come giusta ricompensa per aver raggiunto la meta! Si è aspirato per tempo a quella posizione che ancora oggi è fonte di status sociale: quando viene ottenuta e mostrata attraverso dei simboli come i benefit di lusso, esprime l’orgoglio per le proprie capacità ma anche per la propria abilità competitiva. La concorrenza viene così alimentata nelle aziende e si perpetua nel tempo. E si saluta, di conseguenza, al di là del dichiarato, la cultura della collaborazione.

 Il mito dell’eroe solitario solutore dei problemi

Il manager, prima in carriera e poi saldamente sulla tolda della nave, rafforza il mito dell’eroe, che ha sbaragliato i concorrenti ed ha risolto da solo tutti i problemi (i pericoli) che si è trovato di fronte.

Anche se praticato per necessità, il lavoro di squadra che si basa su queste premesse, non alimenta quella cultura della collaborazione a cui si è accennato: resiste nel profondo il mito dell’eroe solitario, in quanto ancora “oggetto del desiderio”, ovvero colui che alla fine risolve i problemi, magari che, nell’idea di tutti, crea il team.

 La prevalenza del compito sulle relazioni

In quante organizzazioni ancora vi è, sotto sotto, una prevalenza del compito rispetto alle relazioni, che si esplicita, in particolare, a livello gestionale? Le persone sono risorse da controllare e organizzare e non sono fonte di scambio, arricchimento, con un punto di vista differente, un’idea diversa, un modus operandi nuovo… e al momento del cambiamento: si organizza un bel progetto top down e via così!

 

Attenzione al breve rispetto al lungo termine

Aspetto che pensiamo sia ormai particolarmente conosciuto e accettano come sguardo con cui leggere le scelte organizzative, è il concentrarsi sul breve periodo, quale portato della cultura finanziaria attuale: elemento culturale che sembra permeare ogni aspetto della vita aziendale. Un’ambiente in cambiamento invece necessita di passi, anche brevi, ma a lungo raggio, come il partire da una visione ampia ed articolata, secondo un orizzonte temporale lungo.

Trasversalmente a questi miti ovviamente vi sono altri aspetti che possono ulteriormente frenare il cambiamento organizzativo, che in parte sono conseguenze dei miti: ad esempio un’organizzazione a comportamenti stagni, in cui ogni parte è zona di dominio di un manager specifico.

Vi sono ormai numerosi esempi di modelli organizzativi differenti e di organizzazioni fondate su presupposti diversi, che nascono magari dall’esigenza pratica appunto di costruire esperienze lavorative non gerarchiche, che sono risultate “strette” o non efficaci. Abbandonare modelli rigidi vuol dire abbandonare il senso del controllo sul lavoro, sui team, sulle persone per scoprire la forza delle relazioni e delle persone che porta con sé un apprendimento libero e non forzato ed anche un’incertezza che ci sfida, costringendoci ad imparare a gestirla.

 

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