“Vorrei due etti di smartworking e uno di technostress” … attenzione a fare un’insalata!

Non parleremo di acquisti alimentari, tranquilli! Ma fateci iniziare con una domanda: come avete vissuto il lavoro in smart working o come lo vivete, se state continuando, totalmente o in parte, a lavorare a distanza? Ci aspettiamo un’ampia varietà di risposte, sia perché i vissuti delle persone sono diversi tra loro, sia perché la pratica di smart working (SW) è molto frastagliata (si veda il post precedente), sia perché vi è un terzo aspetto, il lock down. Lavorare forzatamente da casa (con tutte le problematiche, le limitazioni, i vincoli che conosciamo, così come i vantaggi e i giovamenti), non è stato nella maggioranza dei casi smart working: l’abbiamo, anche noi, ribadito più volte; così come non è stato telelavoro, ma WFH (work from home, lavoro da casa o a distanza). Soprattutto è stato lavoro svolto durante un periodo di emergenza sanitaria: con paure derivanti dalla situazione, spaesamento, preoccupazioni (come quelle per i congiunti o affetti stabili!), ma anche per il proprio lavoro futuro, per la propria impresa o attività professionale. In questo post vorremmo mettere a fuoco le relazioni tra quanto noi tutti abbiamo passato, il lavoro non in presenza e il rapporto con la tecnologia ed eventuali ricadute derivanti dal suo uso.

Il tema

Avete mai sentito parlare di technostress? È un concetto nato negli anni Ottanta del secolo scorso, quando vi è stato il passaggio all’informatica: Broad definì il tecnostress come il “disagio causato dall'incapacità di affrontare le nuove tecnologie del computer in modo sano”. Oggi il focus si è spostato sulla gestione delle informazioni (e la crescita esponenziale, negli anni, del loro volume) e della velocità con cui il cambiamento tecnologico si svolge. Il Tecnostress è ascrivibile alle ampie patologie di stress lavoro-correlato e le sue conseguenze individuali e i costi aziendali possono essere un problema sociale ed economico. Gli aspetti che emergono, sinteticamente, sono:

·       Il sovraccarico: l’uso eccessivo di nuove tecnologie e quello da informazione;

·       La compulsione: un comportamento "incontrollabile" ad utilizzare le tecnologie ovunque e sempre e per un lungo periodo di tempo;

·       La tecno-complessità e l’incertezza che generano stanchezza, scetticismo e inefficienza legati all’uso delle tecnologie;

·       L’utilizzo continuo (phubbing): lo smartphone viene utilizzato in modo incessante, anche durante le relazioni sociali, magari per paura “di essere tagliati fuori” da altre relazioni, la cosiddetta sindrome FOMO (Fear of missing out).

 

Ora si sta iniziando a parlare, dopo anni in cui si è dibattuto solo nell’ambito specialistico, di tecnostress relativo allo smart working impropriamente detto, quello che moltissimi lavoratori hanno svolto in questi mesi.  Ma, secondo noi, bisogna distinguere tra vero SW e WFH (oppure il telelavoro, in Italia diffuso pochissimo), prima di incorrere in collegamenti rischiosi. Le ricerche degli anni scorsi sul lavoro non in sede dei dipendenti di alcune aziende ma anche di lavoratori autonomi, confermano il possibile aumento di stress in molti soggetti (ricordiamo che lo stress lavoro correlato non è omogeneo per tutti i soggetti, se non in casi limite): in particolare l’essere sempre raggiungibili, l’orario “flessibile”, il sovraccarico informativo e il bilanciamento di vita privata e lavoro. Il tecnostress è stato anche correlato al workaholic (la dipendenza comportamentale da lavoro), concetto che non ha ancora un costrutto ben definito scientificamente.

Bisogna avere attenzione a mettere in relazione il periodo appena trascorso con concetti come il tecnostress e il workaholic; pensiamo che si debba fare “la tara” di ciò che abbiamo vissuto: periodo sicuramente foriero di ansie, paure, reazioni differenti all’isolamento, maggiore concentrazione o deconcentrazione, etc … Vi sono infatti molti fattori collegati tra loro e lo stress generato dal lavoro a distanza è solo un aspetto, bisogna ancora capire quanto il nostro rapporto con la tecnologia in un ambiente non lavorativo sia cambiato e se questo eventuale cambiamento non sia dovuto alla situazione più generale o sia più duraturo. Noi proveremo a mettere in relazione alcune variabili, nell’ambito degli interventi sull’engagement delle persone nel cambiamento digitale e nello svolgimento dello smart working, che stiamo seguendo per alcuni clienti: già intravediamo emergere interessanti aspetti psicosociali, relativi ai vissuti delle persone, alle loro preoccupazioni, al rapporto con la tecnologia, il proprio ruolo e il lavoro da svolgere. Sicuramente noi ve ne riferiremo, se, come scrivevano un tempo, avrete la bontà di seguirci…

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