Undici uomini affiatati: la parola al cambiamento di un team dirigenziale

Raccontiamo, in questo post, un intervento di formazione e consulenza per una nostra azienda cliente, che ha permesso di far diventare un team fortemente coeso il gruppo dirigenziale dell’impresa. Lavorando con le persone di vertice dell’azienda, in preparazione di una fusione con un’altra azienda del settore, si è permessa l’evoluzione del gruppo e dei rapporti interni, rafforzando l’azione manageriale non solo nei momenti eccezionali ma anche nella strategia a lungo termine.      

L’approccio dell’intervento:

Come far evolvere un team direzionale che lavora assieme da molto tempo, sotto l’attenta e competente guida di un direttore generale di forte esperienza, tenendo conto dei rapporti di potere interni all’azienda, avendo come orizzonte una futura fusione con un concorrente? Il nostro approccio ha seguito l’orientamento del cambiamento come evoluzione e non come punto di arrivo già definito che noi consideriamo elemento prioritario: per questo si è partiti dalla valutazione di preservare la logica e la razionalità tecnica del percorso formativo, decidendo di tracciare il percorso solo nelle sue linee essenziali. E di muoversi in funzione dei bisogni evolutivi del gruppo emersi al termine di ogni incontro effettuato e di eventuali contingenze. Questo è stato innanzitutto possibile per il rapporto di fiducia con il committente, già costruito grazie ad un progetto precedente: dunque, un impianto di un percorso costruito nella struttura di base, in accordo con il cliente, avendo però anche condiviso la necessità di fissare periodici incontri di valutazione dello sviluppo del team con il committente e, di conseguenza, individuare le azioni necessarie, all’interno di un quadro di possibili attività già ipotizzate e di vincoli aziendali. Il lavoro specifico sul gruppo segue l’approccio che CambiarParadigma adotta legato alle teorie della psicologia del lavoro e alle metodologie psicosociali di lettura e intervento sulle dinamiche dei gruppi, delle loro fasi di trasformazione.  

La richiesta del cliente:

La richiesta viene dal Direttore Generale di una società assicuratrice, che, diciamolo subito, ha posto una reale e forte enfasi sul benessere delle persone ed ha abbracciato in pieno l’approccio e la deontologia professionale proposta dalla consulenza, alla base della costruzione del percorso formativo e di apprendimento: un percorso finalizzato a porre il management nella condizione di essere una squadra efficace e pienamente funzionale in tutte le condizioni, che avesse il benessere come punto fermo. L’obiettivo concordato viene fissato nel portare le persone coinvolte alla conoscenza delle proprie peculiarità e dei propri limiti e alla presa di coscienza delle dinamiche tipiche del gruppo di cui si fa parte, ovvero dello “stare in questo specifico gruppo”.

 L’intervento sul gruppo dirigenziale:

L’intervento è stato articolato sia in incontri in azienda sia, in alcuni momenti nodali, in incontri residenziali, con una cadenza, indicativa, bimensile. Si è partiti da un incontro iniziale con i manager e la presenza del Direttore Generale, in cui la consulenza ha spiegato le finalità del progetto e illustrato a grandi linee le peculiarità dell’approccio adottato, con un’azione improntata alla piena trasparenza, che togliesse i legittimi dubbi su finalità nascoste della direzione generale o equivoci sul lavoro psicologico sul gruppo (svolto secondo l’approccio di CambiarParadigma). In seguito, si sono succeduti sia incontri residenziali, caratterizzati ognuno da metodologie differenti (teatro, sociogramma in ottica sportiva, business game outdoor, …) sia incontri nella sede aziendale di consolidamento degli apprendimenti e di costruzione di diverse relazioni gruppali.

Il primo residenziale ha utilizzato le tecniche teatrali, che hanno costituito l’occasione per far apprendere ad essere se stessi, con le proprie peculiarità e i propri limiti, in una situazione protetta, cioè mettendo alla prova il proprio comportamento con la distanza di un ruolo. Ha quindi messo le persone in uno spazio di confronto e valorizzazione reciproca. Gli esercizi di improvvisazione, eliminando punti di ancoraggio utili per leggere il contesto, hanno spiazzato le persone, costringendole ad adeguarsi agli altri. Ciò ha permesso una conoscenza reciproca più profonda e completa di quella abituale circoscritta al ruolo aziendale ricoperto. Le difficoltà di svolgimento degli altri esercizi hanno dimostrato come il contesto aziendale porti, nella vita di un gruppo, ad enfatizzare notevolmente il livello razionale e consapevole riferito al compito comune, penalizzando il livello affettivo relativo alle emozioni comuni. Si è raggiunta la consapevolezza non solo di quanto l’interazione tra i due livelli sia continua, ma anche di quanto la cooperazione razionale e cosciente di un gruppo sia profondamente influenzata (nel senso di stimolata o bloccata) dai vissuti personali, dalle emozioni e dai sentimenti delle singole persone.

Dopo alcuni incontri in sede, che evidenziarono che la costruzione di un vero e pieno team manageriale non era ancora completamente realizzata, un week end residenziale era necessario per far continuare il processo di conoscenza lontano da ogni condizionamento aziendale, in un luogo adatto a favorire un costante e intensivo contatto tra le persone. Fu chiesto lo sforzo di sacrificare un fine settimana in un periodo di elevata pressione operativa, per favorire la condivisione di forti esperienze vissute insieme. L’incontro residenziale fu progettato con il preciso scopo di bilanciare attività collettive e attività in piccoli gruppi, composti sulla base di alcune particolari dinamiche relazionali osservate in precedenza. Alla fine del week end si è avvertita una maggiore sinergia con il gruppo, soprattutto sul concentrarsi sulle emozioni.

Negli incontri in azienda, era emerso un segnale importante: nelle situazioni difficili e di emergenza il gruppo agisce come una squadra affiatata, ma con la netta sensazione che nella decisione di far squadra pesasse una considerazione egoistica (“se da solo ci rimetto, allora faccio gruppo”), piuttosto che la comprensione che tutte le persone rivestono importanza per il gruppo, poiché dalla prestazione di ognuno dipendono le sorti degli altri.

Un ulteriore residenziale fu centrato sulla metafora sportiva e con l’uso della tecnica del sociogramma, letto appunto in chiave di team di squadra agonistica. Ciò ha permesso una rilettura critica delle principali dinamiche in atto, evitando l’“appiattirsi” del team sulle chiavi di lettura fornite finora. Grazie alla maturazione del gruppo e a questa taratura dell’approccio, si poté lavorare in profondità in modo molto mirato, evidenziando le richieste che ogni componente faceva agli altri e su queste il gruppo lavorò per delineare i “nodi” sui quali confrontarsi per colmare la distanza che ancora li separava dall’essere pienamente squadra. In particolare, ogni componente del gruppo chiedeva agli altri di sviluppare relazioni autentiche senza cercare di apparire diverso da quello che era; poter credere che, anche se ce ne fosse stata l’occasione o la possibilità, sarebbe stato improbabile che qualcuno si comportasse in modo da danneggiare il gruppo; di riconoscere e rispettare le competenze professionali degli altri.

Nei successivi incontri in sede, emerse che i nodi erano stati affrontati, ma non ancora risolti. È normale che ogni gruppo passi una fase di forte resistenza e di contrasti. A questo punto era indispensabile porre estrema attenzione nel cogliere tutti i segnali che sarebbero emersi per delineare la modalità migliore per superare questa fase. Ed emergeva la sensazione che alcune persone stessero vivendo il gruppo in modo oppressivo. Nei loro atteggiamenti e nei loro comportamenti traspariva la richiesta di un altro modo di partecipare alla squadra, più vicino alla loro personalità e ai loro bisogni. Il sentimento di appartenenza è l’essenza di una squadra, ma è di difficile costruzione a causa dell'ambivalente natura dell'uomo, che lo porta da una parte ad esprimere un bisogno profondo di sentirsi parte di una totalità, dall'altra a conservare intatta la propria identità e la propria individualità. In questi incontri qualche componente del gruppo stava riconoscendo il suo “potenziale oppressivo”. Messo il gruppo di fonte a questa “ipotesi”, i segnali di ritorno, anche se indiretti o deboli, confermarono che si era in questa fase.

Il confronto con il committente portò alla scelta di proseguire consentendo una libera adesione. Avrebbe continuato il percorso solo chi si sentiva pienamente motivato a farlo: il rimanere forzatamente nel gruppo da parte di alcune persone, non solo stava provocando disagi interni, ma aveva anche portato il gruppo ad identificare, senza particolari sforzi, un capro espiatorio sul quale far confluire la disapprovazione di quei comportamenti di cui anche gli altri peccavano, ma che non erano capaci di riconoscere come propri. Ma fu anche la chiave per stimolare le persone rimaste a far squadra tra di loro in modo diretto e per coinvolgere indirettamente chi aveva preferito interrompere il percorso.

L’ultimo residenziale, si utilizzarono ancora le tecniche teatrali per consentire alle persone, che avevano continuato il percorso, di abituarsi gradualmente a dare e ricevere un feedback diretto in una situazione di gruppo, preservando la possibilità di stemperare la situazione sempre grazie alla distanza di un ruolo giocato. Era l’ultimo passo che mancava: un feedback di gruppo tra le persone, perché arrivati a questo punto di evoluzione, ci doveva essere una comunicazione aperta e sincera tra tutti i componenti rimasti nel gruppo, centrata sulle critiche costruttive. L’obiettivo primario del momento di feedback doveva essere quello di rendere naturale, da qui in avanti, che il gruppo diventasse uno spazio di confronto e valorizzazione reciproca.

L’incontro finale in sede, con la squadra al completo, ha permesso di arrivare alla seguente sintesi finale: “l’equilibrio della nostra squadra comporta l’accettazione delle diverse connotazioni che la caratterizzano. Abbiamo appreso che ognuno di noi ha bisogno di stare in squadra per quello che sente di poter dare e di poter ricevere. Nel momento dell’emergenza, invece, tutti si fanno trovare pronti. Pertanto, chiediamoci sempre se, in tutte le occasioni, abbiamo per forza bisogno di richiedere agli altri più cooperazione o piuttosto maggior disponibilità all’ascolto e alla comprensione reciproca”. E il percorso si è poi concluso con la consegna a ciascuna persona di un piccolo libro appositamente stampato, che ha permesso di continuare a riflettere sul percorso svolto, attraverso una serie di testi e disegni evocativi delle sue tappe fondamentali.

 

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