L’uomo che guardava passare… il cambiamento: la persona di fronte alla trasformazione tecnologica e organizzativa

La narrazione organizzativa, in particolare sul cambiamento, è un tema intrigante e cruciale per accompagnare le organizzazioni nella loro trasformazione. Ma di fronte a questo cambiamento le persone come reagiscono? 

Abbiamo già affrontato il tema della disponibilità al cambiamento in diverse forme, ma cosa avviene quando una persona si trova di fronte ad un cambiamento: è molto importante capire come lo racconta a sé stesso, che interpretazione da ad esso, oltre a come lo affronta. In questo post useremo la letteratura per raccontare le persone che si trovano davanti ad un cambiamento organizzativo. La narrazione come racconto della scoperta del cambiamento, la letteratura per descrivere cosa avviene, cosa pensa e cosa vive la persona coinvolta: il racconto d’autore può essere, a volte, più efficace e immediato di un saggio. Partiamo dunque con un testo.

Il racconto…

“Per trentacinque anni ho imballato carta vecchia alla pressa meccanica, per trentacinque anni ho pensato che non si possano pressare cascami e putridume diversamente da come lo facevo io, ma ora sono venuto a sapere che a Bubny hanno costruito una gigantesca pressa idraulica, che sostituisce venti presse di quelle con cui lavoro io. E quando dei testimoni oculari mi hanno detto che quel gigante fa pacchi del peso di tre e quattrocento e che quei pacchi vengono trasportati nei vagoni a mezzo di carrelli elevatori, mi dico, questo, Hania, lo devi andare a guardare, questo lo devi vedere, farai una visita di cortesia. E quando fui a Bubny e vidi quella enorme sala vetrata grande quasi quanto la piccola stazione Wilson, e udii rimbombare quella enorme pressa, allora mi misi a tremare e non riuscivo a guardare quella macchina, per un attimo stetti lì e guardai altrove, poi mi allacciai una stringa delle scarpette e non riuscivo a guardare negli occhi quella macchina. …

Proprio così stavo accanto alla gigantesca pressa idraulica di Bubny, e quando la mia confusione fu diminuita mi feci coraggio e guardai quella macchina che si ergeva fino al soffitto in vetro della sala come l'immenso altare nel tempio di San Nicola a Mali Strana. Era quella pressa ancor pili grande di quanto mi aspettassi, il grande nastro era così largo e lungo come il nastro che nella centrale elettrica di Holesovice versava gradatamente il carbone sotto le griglie, su questo nastro si spostavano gradatamente carta bianca e libri, quei libri li caricavano giovani operai e operaie, … 

E così mi feci coraggio e salii i gradini fino alla pedana che correva tutto intorno al tino ovale, davvero passeggiavo su quella pedana … guardavo giù appoggiato alla ringhiera, come se stessi sopra l'impalcatura di una casa a due piani, il quadro di distribuzione splendeva di decine di bottoni di tutti i colori come in una centrale elettrica e la vite continuava a spingere e pressare il contenuto dei condotti con una forza simile a quella di quando spiegazzate sovrappensiero un biglietto tra le dita, ed io del tutto inorridito guardavo attorno a me e in giù verso le operaie e gli operai al lavoro… ma non era questa la ragione del mio inorridimento, io presi paura perché a un tratto seppi con precisione che quella pressa gigantesca era un colpo mortale a tutte le presse piccole, sapevo d'un tratto che quello che stavo vedendo era una nuova epoca nella mia branca, che quelli erano ormai altri uomini, un altro modo di lavorare… Ma qui era incominciata una nuova era con nuovi uomini e nuovi procedimenti di lavoro…                      

Per trentacinque anni ho pressato carta vecchia alla pressa meccanica, per trentacinque anni ho pensato che così come lavoravo avrei lavorato per sempre, che quella pressa sarebbe venuta in pensione con me, eppure già il terzo giorno dopo che avevo visto la gigantesca pressa idraulica di Bubny il contrario del mio sogno era diventato realtà. Arrivai al lavoro e c'erano lì due giovanotti… Il capo trionfante li portò nel mio magazzino, mostrò loro la mia pressa e quei giovanotti furono come a casa loro… e io ero lì umiliato e ferito, ero in situazione di stress e d'un tratto col corpo e con l'anima compresi che non sarei mai più stato capace di adattarmi, … 

Il capo poi mi disse di spazzare il cortile o di aiutarli, o magari di non fare assolutamente nulla, perché la settimana dopo sarei andato ad imballare carta linda nel magazzino sotto la tipografia Melantrich, nient’altro avrei imballato che carta linda. E io vidi le stelle, dunque io che per trentacinque anni ho imballato cascami e putridume, io che non posso vivere senza la sorpresa di pescare da un momento all'altro un bel libro come premio dalla schifosa carta, dunque, io devo andare a imballare carta immacolata, disumanamente linda. 

E questa notizia mi abbatté sul primo gradino del magazzino, e così stavo seduto lì, come una piadina, completamente bruciato da questa notizia, le braccia mi pendevano dalle ginocchia, guardavo con un sorriso stiracchiato quei due giovanotti che non avevano nessuna colpa, perché gli avevano detto di andare a pressar carta in via Spàlenà e cosi c'erano andati, perché quello era il loro pane, il loro incarico, li vedevo gettare carta vecchia nel tino con la forca e poi pigiare i bottoni verde e rosso e io mi cullavo nella stolta speranza che quella mia macchina avrebbe scioperato, si sarebbe data malata, avrebbe finto che le rotelle e le leve avevano grippato, ma anche quella mia meccanica mi tradì, lavorava in modo ben diverso, come da giovane, rombava a pieni giri e anzi quando giunse alla barriera limite fece un trillo e a partire dal primo pacco trillò in continuazione, come se mi deridesse…

E io dovetti riconoscere che in due ore quei giovanotti già stavano li come se ci stessero da anni, si erano divisi il lavoro e uno dei giovanotti era montato sul mucchio che si ergeva fino al soffitto, col gancio tirava giti la carta vecchia direttamente nel tino e in un'ora quei giovani operai avevano già fatto altri cinque pacchi e il capo ogni minuto veniva all'apertura nel pavimento nel cortile, si sporgeva e applaudiva teatralmente con le sue manine paffutelle e guardando me esclamava... Bravo, bravissimo, … E io socchiudevo gli occhi e volevo andarmene ma le gambe non mi aiutavano, ero paralizzato da quell'infamia, m'aveva completamente bruciato quella mia macchina con quel suo antipatico trillo…”  Questo testo fa parte del romanzo di Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa. (pag.56, 57,58, 59, 70 e 71 dell’edizione a cura di Sergio Corduas, Einaudi, 1991).

Il rapporto persona e cambiamento

Sappiamo che il rapporto persona e cambiamento riflette il rapporto dell’interazione tra questo e il suo ambiente: allora ci dobbiamo chiedere quale percezione la persona ha del cambiamento; quale elaborazione sta facendo di esso; come si sta muovendo e comportando. Proviamo a ragionarci utilizzando il testo prima riportato: come abbiamo più volte indicato, la percezione si riferisce al modo in cui la persona legge il mondo in cui vive; l’elaborazione, il modo in cui l’individuo attribuisce senso agli accadimenti che succedono (ed è fortemente influenzata dalla sua storia e dalla cultura di appartenenza); l’azione, come la persona agisce nel mondo. Nel caso del protagonista del romanzo, ci pare che esso veda crollare il suo mondo, un mondo esclusivo in cui era inserito, il suo bozzolo unico ed esclusivo. E ne è un esempio lampante il “tradimento”, come lo vive lui, della “sua” macchina in mano a due giovanotti. 

La percezione di una perdita totale di senso, che gli blocca la possibilità di poter entrare ancora in una fruttuosa ottica rielaborativa. Si coglie che non sia aiutato da nessuno in questo, perché non gli hanno fornito un motivo chiaro e convincente sul perché il cambiamento fosse necessario. È atterrito anche dalla prospettiva del futuro (lavorare con la carta linda), un futuro che aveva cercato, a suo modo, di controllare andando a vedere la grande pressa, quando la considerava come una minaccia al suo modo di lavorare. Un’azione preventiva, in un certo senso, che però gli eventi successivi, il ventilato cambio di attività e luogo, superano. Secondo noi, allora dovrà abbandonare la “ricerca” delle ragioni del cambiamento e sforzarsi di tradurre tali ragioni in fattori motivanti per lui. 

Può essere che, come spesso capita, il protagonista tema, che pur acquisendo nuove conoscenze nell’utilizzare il nuovo macchinario (gli strumenti necessari, il processo, la tecnica corretta), avrà bisogno di molto tempo prima che riesca a tradurre i nuovi apprendimenti in abilità che generano soddisfacenti prestazioni e un nuovo mondo di riferimento. Per questo motivo, nella realtà, le azioni di accompagnamento sono molto utili.

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