Una trasformazione solo in orizzontale? Organizzazioni piatte, team auto-organizzati e il panorama…
È da tempo in atto, in molte aziende, il
progressivo appiattimento delle strutture e la graduale e differenziata
introduzione della flessibilità gestionale ed operativa: la digital
transformation, l’industria 4.0 per alcuni suoi aspetti o framework come quelli
agile, facilitano questa trasformazione. I modelli organizzativi piatti, che
diminuiscono i passaggi gerarchici a vantaggio di una maggiore velocità di
decisione e d’azione, riducendo i ruoli intermedi, possono essere visti come
un’espressione di quella che possiamo chiamare cultura “orizzontale”. La
struttura gerarchica risponde ad una cultura “verticale” e verticistica,
come sappiamo di derivazione militare e religiosa. Si potrebbe commentare che i
tempi cambiano, la società evolve e le culture cambiano, quindi è naturale che,
ad esigenze diverse, vi siano risposte diverse, come organizzazioni con meno
livelli gerarchici. Certo, considerando il criterio storico, si sono modificate
molte cose, le persone che entrano oggi nelle organizzazioni sono diverse, in
genere più istruite e formate del passato, sono cambiati il senso del lavoro
nella società e le motivazioni personali, per citare solo alcuni aspetti … ma
siamo sicuri che le organizzazioni debbano essere proprio piatte?
Orizzontale e verticale nelle organizzazioni
Nell’evoluzione attuale delle concezioni organizzative
vi sono diversi esempi di aziende che si richiamano al paradigma dell’autonomia
condivisa, che superano il concetto di controllo e abbandonano sistemi di
previsione sofisticati. Abbiamo messo in archivio, da tempo, le immagini delle
catene di montaggio alla Charlie Chaplin di Tempi
Moderni, oppure quelle dei vertici impersonati da semi-dei (come nei film
di Fantozzi), per intraprendere un
viaggio, nell’evoluzione dei modelli organizzativi, che è passato attraverso le
strutture a matrice, quelle olografiche, quelle a sistema aperto, le open
organization, l’holacracy, la sociocrazia
e… Ma con che rappresentazioni sostituiamo quelle precedenti ? Ci vengono in
mente due immagini: quella del
silenzio delle vecchie gerarchie, che nessuno o quasi osava sfidare; l’altra è
quella della cacofonia della rete inondata da un’infinità di voci. Forse
bisogna trovare un equilibrio tra silenzio e rumore, tra verticismo estremo e
parità dichiarata, tra verticale e orizzontale. In riferimento appunto a questi
ultimi due concetti, nelle organizzazioni si declinano, ad esempio, così: orizzontalità
come auto-organizzazione che presuppone l’autogestione delle persone nel team
e il peer- control, sull’operato dei colleghi (stile siamo tutti sulla stessa barca, quindi guai a chi non rema!);
verticalità, organizzazione centralizzata, il team leader che organizza,
decide e controlla (stile siamo tutti
sulla stessa barca, io uso il megafono e vi do il tempo, voi remate!).
Storicamente, i marinai remavano e al massimo avevano il diritto di mugugno,
come sulle antiche navi genovesi! Molti passi sono stati fatti da allora (era
il Trecento), non è più necessario il diritto di mugugno, d’accordo, ma… il
megafono è ancora necessario? No? Ma il controllo tra pari che effetto fa sulle
persone e le organizzazioni e, alla lunga, regge?
Un caso pratico
Un‘azienda alle prese con il cambiamento secondo la
logica Industria 4.0 ha introdotto, per le isole di produzione, una gestione
maggiormente autonoma da parte di ogni team: ad esempio ha modificato il suo
sistema premiante, basando la distribuzione dei premi economici esclusivamente sugli
input dei compagni di squadra e non del capo diretto. Da quando è stata
introdotta una maggiore autonomia delle persone nei gruppi, l’azienda ha
riscontrato, in generale, una crescita delle prestazioni lavorative degli
individui e di ogni team. Ma andando ad analizzare team per team, seppur vi
è stato un incremento generale, in alcuni le prestazioni si sono incrementate
in modo poco significativo. Il responsabile della produzione, favorevole al
cambiamento, si è chiesto il perché e ha sollecitato i vertici ad affrontare la
questione. Sono state escluse alcune motivazioni: l’anzianità del team e la sua
stabile composizione, in quanto tutti i gruppi sono nati assieme, da un anno,
ed hanno avuto un turnover nullo; la composizione delle persone, in quanto nei
team sono affluiti in modo “equilibrato” sia il personale da anni in azienda
sia le leve più giovani, oppure il genere, ogni gruppo ha la presenza di
personale femminile in modo proporzionato e stesso discorso per il personale
straniero. Non individuando elementi significativi per spiegarsi le differenze
di prestazioni, l’impresa ha chiesto l’intervento della consulenza e, grazie ad
un progetto di analisi della situazione, valutazione ed intervento si è
lavorato sulle difformità tra team. Nello specifico, dalle interviste
preliminari, dai focus group con gli operai e dalle interviste in profondità,
si è colto che il peer control incideva favorendo prestazioni maggiori in
team poco coesi, ma pesava sulle prestazioni dei team che erano più squadra!
Si è lavorato, in seguito, dunque per far elaborare ai membri dei team le
emozioni e gli schemi mentali legati alle prestazioni dei colleghi, con
incontri con i team, con l’obiettivo di facilitare le dinamiche di gruppo, o nella
direzione del “darsi il permesso di” … o in quella di “superare le distanze”
tra i membri. Ogni team ha avuto, a fine del breve percorso, la possibilità di
definire, con il responsabile di produzione, regole e prassi per un suo
intervento, elemento emerso come necessario in alcuni casi e comunque visto
come punto di riferimento. In questo modo direzione, intensità e persistenza degli
sforzi di ogni membro nell’ambito del proprio team si sono decisamente
livellati, ma verso l’alto, aumentando ulteriormente rispetto ai risultati
ritenuti, dall’azienda, già significativi.
Epilogo:
Essere punto di riferimento per i collaboratori, a cui richiamarsi per uscire da impasse che possono incrinare clima e motivazioni di un gruppo di pari, con danni che possono essere anche permanenti, prendendosi la responsabilità di scelte critiche e di decisioni altrettanto cruciali, ma senza accettare arretramenti dei team verso la dipendenza gerarchica: questo è ciò che il responsabile ha capito alla fine di quel progetto. La necessità di una cultura verticale oltre che di quella orizzontale! Non verticistica ma terza rispetto alla logica dei pari: quest’ultima può mutare in competizione oppure in controllo ma “nascosto”, guardingo, l’un l’altro. C’è dietro l’angolo il rischio dell’individualismo, vestito di gruppo e di parità, che, nell’abolire la gerarchia, ci fa dimenticare il nostro impegno nel trovare regole comuni, che ci pongono nella posizione di mettere davanti a tutto non l’altro ma gli altri, il funzionamento del sistema azienda piuttosto che primo il singolo.
Quanto più ci si richiamerà sia alla cultura orizzontale sia a quella verticale, integrate in quanto una senza l’altra non svelano il loro senso, per trasformarsi in un panorama (parola che deriva dall'inglese, composta di pan, tutto, e hórama, ossia vista), che è dato dall’integrazione tra orizzonte, linea lontana e sottile, con la verticalità. Le organizzazioni teal, nelle loro pratiche, hanno bisogno allora di una verticalità nuova, così da permettere anche questa espressione simbolica, da non negare, in aggiunta all’orizzontalità diffusa e “sbandierata”.