Smart working & company: molteplicità di forme per una pluralità di culture organizzative
Molto si è detto sullo smart working in questi mesi e pensiamo che ormai anche i muri sappiano che quello che è stato attuato nella maggioranza delle organizzazioni in Italia, durante il lockdown, non sia veramente smart working (di seguito anche SW). Inoltre, altro aspetto che pensiamo sia ormai chiaro è che la parola SW non è una parola internazionale, ma coniata nel nostro paese: in questo periodo, all’estero, il concetto che ricorreva era remote working, in italiano tradotto come lavoro a distanza. E, nello stesso momento, la definizione che è stata meno citata è quella di telelavoro, telecommute (se volete usare l’inglesismo). Come già scritto nel post Le attuali Sirene per le Organizzazioni, abbiamo dunque almeno tre concetti differenti.
Il lavoro svolto a distanza, remote working, è un concetto -ombrello, che indica in generale lo svolgimento di attività professionali non nel proprio ufficio e include sia i casi in cui sia stato elaborato un progetto aziendale (e dunque un accordo aziendale specifico) sia quelli in cui si attui puramente uno “spostamento” del lavoro fuori sede, come è avvenuto durante l’emergenza Covid-19. In specifico si è verificato quello che nel mondo anglosassone viene chiamato WFH (work for home). Sappiamo che, in generale, le imprese hanno dovuto ri-organizzarsi in breve tempo, al fine di garantire la continuità delle attività lavorative ed hanno dunque autorizzato il lavoro a casa dei dipendenti, senza modificare aspetti quali, ad esempio, l’orario di lavoro, che è rimasto uguale a quello in sede; così come non si sono introdotte regole specifiche.
Il telelavoro invece ricade nel primo tipo di distinzione fatta: è una modalità di lavoro contrattualmente definita, che si svolge da una postazione ubicata o presso la propria abitazione o in un’altra struttura (ad esempio i “telecentri”): il luogo di lavoro deve essere stabilito nell’accordo ed essere sempre quello, mai la sede aziendale o una sua filiale. L’accordo deve definire per bene questi aspetti e deve basarsi sulla scelta volontaria del/la lavoratore/trice. Un modo di lavorare, ipotizzato molti decenni fa, che nel tempo è stato sempre più realizzabile, grazie agli strumenti informatici e telematici.
Lo SW o lavoro agile, come viene chiamato dalla legislazione italiana, è qualcosa di diverso ancora e così come per il telelavoro, esistono differenti formule: è una modalità organizzativa complementare a quella dell’essere in azienda, che mira a creare un nuovo modo di lavorare e che non prevede una presenza esclusiva in sede oppure a casa o in un altro luogo, ma è la persona che è autonoma nella scelta.
Sono quindi, nella loro realizzazione, tre modalità di lavoro diverse, che connotano le organizzazioni che le attuano. Guardiamole ora da un altro punto di vista, dall’interno delle aziende: per fare questo, abbiamo tracciato uno schema che differenzia le diverse forme di lavoro a distanza secondo due assi:
a) la cultura del lavoro, caratteristica per noi è cruciale nell’analisi delle imprese o degli Enti, che contraddistingue il funzionamento interno di ogni realtà organizzativa;
b) la progettualità che l’azienda o l’Ente adotta riguardo alla gestione flessibile del personale.
Ecco lo schema che abbiamo elaborato e, di seguito, vi presentiamo variabili e riflessioni conseguenti.
Per cultura del lavoro intendiamo, in specifico, l’orientamento culturale che un’organizzazione esprime riguardo al modo di lavorare. Vi sono molte organizzazioni che basano l’assegnazione del lavoro sulla scomposizione delle attività in compiti e la loro attribuzione ai collaboratori. Altre imprese o Enti invece che danno ai collaboratori degli obiettivi collegati a risultati da risultati lavorativi, lasciando, in questo modo, libertà su come organizzare i compiti e raggiungere gli esiti sperati. Stanno aumentando, anche in Italia, le aziende che adottano una cultura del lavoro ispirata al framework agile (Organizzazioni agile) in cui le persone o, più frequentemente, i team si auto-organizzano sia le attività sia gli obiettivi per il raggiungimento dei risultati assegnati.
L’altro asse è quello della progettualità, che abbiamo differenziato secondo il livello di progettazione che l’organizzazione mette in atto riguardo alla gestione della flessibilità del personale. Come appare evidente dallo schema, si passa da un’assenza di progettualità, per cui le imprese o gli Enti concepiscono solo il lavoro in presenza, ad un basso livello di progettualità che indica la possibilità che il lavoro sia svolto anche a distanza, ma solo per eventualità estreme, per periodi ridotti o situazioni particolari. Una progettualità di livello superiore invece prevede che si prepari in modo accurato il passaggio, ma prima ancora si definiscano processi e ruoli coinvolti, un sistema di obiettivi e di regole, si coinvolgano le persone nel progetto.
Dunque, quando vi è una cultura del lavoro che attiva le persone a operare per obiettivi, etero o auto definiti, è possibile prevedere lo smart working, perché, per essere effettivamente svolto, è necessario che possibile le persone abbiano autonomia nel gestire la propria flessibilità, garantendo comunque il raggiungimento degli obiettivi. Invece il telelavoro è il prodotto di una cultura del compito, che definisce le attività e le sue sotto unità e progetta il suo svolgimento in un ambiente differente, come la casa. Anche il WFH, nelle sue diverse sfumature, si richiama principalmente alla cultura del compito, è il prodotto di una progettualità poco sviluppata, che si concentra solo sulla presenza/assenza del collaboratore in azienda e non sull’opportunità che questa scelta organizzativa possa accrescere le esperienze delle parti; oltre, ovvio, avere possibili vantaggi per i “contraenti” (come un work life balance differente per i collaboratori e o ridurre i costi di gestione per l’azienda).
Pensiamo che questo schema, nella sua semplicità, possa essere uno spunto di riflessione per gli HR manager e una traccia per una auto-analisi preliminare su quanto fatto e/o si vuole fare.