Siete pompieri senza saperlo? (le organizzazioni antiincendio e l’imprevedibilità)

Le organizzazioni sono esposte ad eventi non facilmente prevedibili, come il Covid 19 o il crollo del mercato nel 2008, e nei casi migliori, a cambiamenti disruptive nel mercato (la digitalizzazione, ad esempio). Il modo in cui ogni azienda risponde a questi eventi è dettato dalla sua cultura organizzativa: spesso le linee di “comando” si fanno più evidenti, le persone reagiscono secondo l’interpretazione corrente ai messaggi aziendali che ricevono, la velocità o meno di risposta diventa il termometro dell’efficienza (da non confondere con l’efficacia, però!). Nella varietà delle tipologie culturali, ci sono le organizzazioni che vivono nella cultura dell’antiincendio, apparentemente già predisposte all’imprevedibilità. Sono organizzazioni, e sono molte secondo noi, che si concentrano solo sui risultati a breve, in cui un’attività è riconosciuta come tale solo se è una realizzazione concreta. Lo standard diventa dunque intervenire sui problemi dell’ultimo minuto, in quanto in questa cultura organizzativa sono premiati i comportamenti di chi salva “la baracca” da grossi problemi urgenti, di chi evita le complicazioni fino all’ultimo per poi correre a “salvare il salvabile” e, spesso, vengono anche lautamente ricompensati 

Il tema:

La standardizzazione del modus operandi che possiamo definire spegni l’incendio, rischia di far passare come esecutori poco efficaci chi utilizza altre prassi, ad esempio chi tende a fare una pianificazione più accurata e cerca di seguirla. D’altro canto, l’imprevedibile e il disordine, aspetti che la nostra società tende a ignorare o ad arginare, come ci ha indicato Taleb (tutti ricordiamo il suo best-seller il Cigno Nero), sono una realtà: che senso ha dunque pianificare, anzi forse è meglio procrastinare, come sembra indicarci l’autore libanese? Il rinviare è una difesa naturale, permette che le cose si prendano cura da sole di sé stesse, ma non va sempre bene per tutte le situazioni: quando non si è situazioni di emergenza, bisogna vivere appieno l’incertezza, ma quando c’è l’urgenza è meglio invece intervenire.

Un’organizzazione che si vive sempre in emergenza, in cui le persone rincorrono le cose, non crea spazio per la procrastinazione, non aiuta le persone a stare nell’incertezza: si risponde subito “presente!” ad ogni situazione (problema del cliente, e-mail del capo, …). In queste aziende, non si dubita, in quanto nessuno si crea quello “spazio psichico” che permette di ponderare l’indeterminatezza. Vi chiederete il perché? Siccome non viene mai premiato il dubbio, ma viene considerata “vincente” la sicurezza della risposta, le persone modificano i comportamenti e si adattano alla cultura organizzativa. Si impara ad essere sicuri sempre, e ciò lo si vede nelle riunioni, in cui nessuno esplicita tentennamenti… poi eventualmente si rimedia facendo i pompieri o, detto nel linguaggio popolare, “mettendoci una pezza”. E se in una di queste organizzazioni, si sviluppa anche la blame culture (ne abbiamo parlato in un post precedente, sul tema degli errori nelle organizzazioni), scatta la caccia al piromane! Una caccia infinita, in cui ci si incolpa a turno… Al di là delle situazioni limite, in generale, la strategia che viene attuata da capi e project manager è quella di creare il senso di urgenza alle persone, con l’idea di “tenere alta” l’adrenalina, di far fare performance migliori, di raggiungere il budget...

Se apparentemente queste organizzazioni sembrano attrezzate per l’indeterminatezza dei mercati e della società, in realtà rischiano di non essere premiate nel tempo perché poco propense all’innovazione e al cambiamento evolutivo: il cambio di paradigma culturale, diventa infatti essenziale per percorrere strade nuove senza la fatica di spendere energie per il breve termine e per generare quel benessere produttivo, dato da stimoli mirati e stress sano.

Se no, l’incendio da spegnere è sempre dietro l’angolo. E come rispose un illustre ospite in un programma televisivo (ora si direbbe talk show) italiano di molti decenni fa, alla domanda “cosa c’è dietro l’angolo?”: un altro angolo!

Foto: Aziz Acharki https://unsplash.com/