“Non ci sono più le mezze stagioni…”: riflessioni sulla seconda metafora emersa dal nostro sondaggio

Il precedente post ha presentato le riflessioni sul cluster maggiormente indicato dai rispondenti come insieme di metafore preferito per rappresentare il cambiamento organizzativo: il cluster denominato “i mutamenti di stato dell’acqua”. In questo post invece parleremo di un altro cluster, quello che abbiamo indicato come le stagioni, raggruppamento di metafore a cui afferiscono appunto quelle legate alle stagioni, al loro mutare e al clima. Quando si parla di stagioni, viene subito in mente che sono quattro e ciò richiama, a noi che scriviamo, l’opera del musicista Antonio Vivaldi, ossia i primi quattro concerti solistici per violino dell'opera “Il cimento dell'armonia e dell'invenzione”: cambiamento come prova che deve essere armonica e innovativa? 

Un tema che riprenderemo nei prossimi paragrafi. Tralasciando i riferimenti culinari relativi alla pizza, che sarà venuto in mente a molti, così come a noi, il tema della ciclicità della terra e del clima, è stato spesso ripreso nelle arti, si pensi alle allegorie dipinte dall’Arcimboldo nel millecinquecento o, un secolo dopo, ai quadri dedicati alle stagioni dal Pieter Bruegel il giovane. Interessante, a nostro parere, notare che la stagione deriva al latino statione(m), sosta, "dimora”, ovvero la posizione occupata dal sole nei solstizi e negli equinozi, per l’appunto per indicare la partizione dell'anno solare negli equinozi di primavera e autunno e nei solstizi d'estate e inverno. 

Dunque, l'avvicendarsi delle stagioni scandisce i ritmi della natura e della vita, strettamente correlati alla tradizione astrologica degli influssi celesti sul mondo sublunare. Questa ciclicità è stata pertanto, dall’essere umano, definita come qualcosa di stabile (la dimora), quindi che muta ma con un’evoluzione prestabilita. Il legame con la terra è chiaro nell'iconografia medievale e rinascimentale, periodi nei quali le stagioni vengono rappresentate attraverso i mestieri agricoli a esse associate: la semina, la fienagione o la mietitura, il raccolto e la caccia. In precedenza, nei miti orfici, le stagioni corrispondevano a quattro teste animali: l'ariete (animale sacro alla primavera), il leone (estate), il toro (autunno) e il serpente (simbolo dell'inverno e della vita che si rinnova attraverso la morte). 

Poi, con la creazione del mito olimpico, gli antichi greci hanno collegato gli animali a singole divinità facendo corrispondere a Zeus l'ariete, a Helios il leone, a Dioniso il toro, ad Ade il serpente. La stagionalità è, nei secoli, anche rappresentata sottoforma di uomini e donne di età diversa e le stagioni scandiscono i momenti fondamentali della vita dell'uomo — la nascita (primavera), la maturità (estate), il declino (autunno) e la morte (inverno). Le metafore rappresentano, come sappiamo, l’immaginario, le immagini collettive, e, in questo post, affronteremo quelle che si incentrano sull’evolversi delle stagioni durante l’anno, come “raffigurazione” del cambiamento organizzativo. 

Lo faremo anche grazie all’abbondanza, non solo numerica, delle risposte al sondaggio che abbiamo proposto, ma soprattutto alla profondità di argomentazione delle motivazioni sulla scelta delle metafore. Un brevissimo sondaggio che ci sta arricchendo di riflessioni e spunti: ancora grazie a chi ha contribuito.  

La sintesi dei cluster emersi dal sondaggio

Le diverse metafore che sono emerse si richiamano a tipologie concettuali differenti, quelle riferite principalmente alla natura e le sue mutazioni o caratteristiche, alla popolazione naturale, alle simbologie e agli strumenti umani. I diversi cluster, seppur dissimili, sono, nella maggior parte, collegati tra loro, sia perché si possono ascrivere a categorie concettuali che li comprendono (ad esempio appunto la natura) sia perché indicano modalità di cambiamento assimilabili (es. cambiamento come mutazione). 

Il cluster denominato i mutamenti di stato dell’acqua, di cui abbiamo scritto nel precedente post (numero 51), raggruppa quelle metafore che vedono nell’acqua, nella marea e nell’onda appunto l’evoluzione delle forme liquide: simbolicamente le acque rappresentano il flusso continuo del mondo manifesto, che dissolvono, cancellano, rimuovono, purificano e rigenerano. 

Un altro cluster è chiamato “il fiore che sboccia”: un singolo elemento che cambia stato, che modifica la sua forma, simbolo della potenzialità, dello sviluppo, dell’apertura, di una passività (la corolla che riceve) che si apre verso l’esterno, verso l’ambiente esterno, attraverso l’insetto che vi si posa. E un altro animale denomina il terzo cluster, quello della trasformazione della “farfalla”, del bozzolo, la crisalide, che diventa appunto la farfalla, ossia una specie che si evolve, adattandosi al contesto nuovo. 

Le forme naturali e riprodotte dall’uomo come la “spirale”, il quarto cluster, processo profondo ed evolutivo, che ritorna ricorsivamente, apre alla possibilità che vi sia un cambiamento espansivo oppure implosivo. Il cluster denominato il “viaggio”, vede il cambiamento come un tragitto, la ricerca di una via, il viaggio dell’eroe come un percorso di cambiamento, alla ricerca della sua anima, verso la felicità o verso la mission che l’organizzazione sta perseguendo. In questo post, come ormai sarà chiaro, approfondiamo invece il cluster che abbiamo definito “le stagioni”. 

Le riflessioni sulle “stagioni”

Questo cluster di metafore mette assieme tutte le proposte fatte dai rispondenti al sondaggio che riguardano il mutare stagionale e quello del clima in generale, indicando la ciclicità delle ere, ovvero un variare definito, secondo tempi diversi in successione, secondo un suo ordine temporale. Le stagioni e il loro mutare sono stati scelte come metafore perché indicano un ciclo annuale sempre uguale ma sempre diverso

Una similitudine tra le stagioni e le fasi di un cambiamento organizzativo, che racchiude però nel suo parallelismo aspetti sempre diversi (ogni cambiamento è differente) e aspetti costanti, quelli trasversali ad ogni cambiamento. Il confronto che viene fatto è anche quello con la crescita della vita, in quanto stagionalità annuale che accompagna la vita e che offre la possibilità di innovarsi e permette il cambio di prospettiva nelle abitudini di vita. 

La stagionalità pure come un cambiamento organizzativo che avviene perché necessario e quando è il momento, come le quattro fasi temporali dell’anno. Un cambiamento di stato, graduale e non distruttivo, integrale, ossia che comprende un aspetto temporale, degli elementi in gioco, un contesto di riferimento. Ma che non finisce mai, che evolve come il clima. E proprio il clima, mentre scriviamo, ci segnala che il mutamento che sta avvenendo, da tempo potremmo aggiungere, ed ora sembra molto evidente (siccità, temperature elevate, ecc…), impone dei cambiamenti ai nostri stili di vita, alle attività umane. Non ci sono più le mezze stagioni: si richiamava, in modo ironico nel titolo, una frase classica tra quelle “stereotipate”, ma la variazione del clima per il surriscaldamento terrestre ci richiede forse un “cimento dell'armonia e dell'invenzione”, per riprendere il titolo dell’opera di Vivaldi. Un cambiamento come una prova che deve essere armonica e innovativa.

 E il cambiamento in azienda?

Il cambiamento organizzativo in fondo, ci suggerisce questo cluster di metafore, può essere appunto una prova ben gestita, che richiede innovatività ed anche armonia tra le parti in gioco. Le soste, le stazioni o stagioni, sono, allora, quelle fasi che nella mutazione sono comunque costanti. I processi di change management trainati solo dal cambiamento tecnologico o da una revisione dei flussi organizzativi che si incentra esclusivamente sull’ottimizzazione, sugli sprechi o le correzioni di rotta, sembrano avere come base simbolica una mutazione stagionale costante: che manca però della “consapevolezza” che un cambiamento non è uguale mai ad un altro; ed infatti in questo tipo di progetti aziendali di change management vi è sempre “il valzer delle varianti” al piano definito, perché, ad esempio, “non si riesce a rispettare i tempi previsti”! 

La stagionalità vista come una mutazione in macro-fasi, non come scadenza fissa di alcuni snodi, richiede la capacità di vivere l’incertezza senza farsi trascinare da essa ma senza neanche fingere che possa essere arginata. Richiede l’abilità di ri-considerare il problema che sorge nel processo di cambiamento organizzativo e il risultato in modo ciclico dopo ciascuna nuova azione o nuovo problema. È necessaria, dunque, una visione d’insieme del processo di change management e una attenzione analitica ai fattori implicati nel cambiamento (organizzativi, relativi alle persone, ai tempi, …), con una certa flessibilità che permetta, man mano che si intraprendono delle azioni, che il risultato modifichi la sua natura.

 

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